Dal volume di Rosita Tordi Castria Dovuto a Mario Luzi, Roma, Bulzoni, 2007, pagg. 7-8:
AVVERTENZA
Occasioni ‘discretamente personali’ tramano queste pagine: è il caso dell’ incontro con il poeta nella primavera del 1984, in occasione del convegno Saba, Trieste e la cultura mitteleuropea, nella Università di Roma La Sapienza.
Inevitabile, nel breve colloquio, il richiamo a Giacomo Debenedetti, probabile responsabile dell’apertura di credito di Mario Luzi nei confronti di Umberto Saba nei primi anni Cinquanta, ma senz’altro autorevole guida di chi scrive nel suo primo avvicinamento all’opus luziano.
A quell’incontro è seguito un prezioso dono: due cartelle gialle contenenti il manoscritto di Al fuoco della controversia, la raccolta poetica del 1978.
Nel corso di lezioni dell’anno accademico 2004 / 05 , nell’ambito di una ricerca sui rapporti tra poesia e arte informale in Italia negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, ampio spazio ho riservato all’opera di Agostino Bonalumi, pittore ma anche poeta e coautore di un libro d’arte dedicato a Mario Luzi.
E’ in quella occasione che ho riaperto le cartelle in cui gelosamente custodivo il manoscritto di Al fuoco della controversia e di qui la decisione di destinare il corso di lezioni dell’anno accademico successivo a una verifica dell’incidenza nell’opera del poeta toscano di quel coté della pittura italiana del Novecento che ha nella Metafisica di Giorgio de Chirico e nello Spazialismo di Lucio Fontana ineludibili luoghi di riferimento.
Il presente studio segue il tracciato di quelle lezioni con l’obiettivo di portare all’evidenza la peculiarità del percorso poetico di Luzi in quella stagione che, avviatasi nel 1971 con il poema drammatico Ipazia e la raccolta poetica Su fondamenti invisibili, si chiude nel 1978 con la raccolta poetica Al fuoco della controversia e il poema drammatico Il Messaggero, in cui dominante continua ad essere il personaggio di Ipazia.
Confessa il poeta nell’avvertenza che accompagna Brani di un mortale duetto, in apertura di Al fuoco della controversia: “I versi che raccolgo in questa plaquette li ho scritti tra il 1956 e il 1960 e sono dunque, per chi avesse interesse a questa così poco “storica” ricostruzione, da collocarsi tra Onore del vero e Nel magma.
Il tema insistente, in virtù del quale sono stato indotto a isolarli, è dei più elementari. Il confronto, il rapporto, la “questione” tra morte e vita sono infatti connaturali con il poetare stesso, tautologici in qualche modo. Ma in quegli anni mi si riproponevano concitati da trapassi violenti di forme civili, si associavano alla consapevolezza di trovarsi a una discriminante dei tempi, a un salto della civiltà prodigo di lacerazioni”.
E la liaison con la stagione tra Onore del vero (1957) e Nel magma (1963) si traduce inevitabilmente per noi in un invito a ripercorrere quel corso di lezioni dell’anno accademico 1958/’59, il nostro primo nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo romano, quando Giacomo Debenedetti, chiamato a subentrare a Giuseppe Ungaretti nella cattedra di Letteratura italiana contemporanea, apriva ai suoi studenti inediti varchi nell’universo del grande poeta toscano attraverso l’esegesi di Nell’imminenza dei quarant’anni.